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ACQUASPARTA Cittadina distesa su un colle a circa 300 m. Antico centro termale e di villeggiatura, conserva cospicui resti delle mura medioevali. Fu una delle "Terre Arnolfe" , così dette dal loro primo feudatario; poi appartenne all'Abbazia di Farfa, quindi ai vescovi di Todi e infine passò ai Cesi. Il principe Federico Cesi vi ricostituì (insieme a Giovanni Echio, Francesco Stelluti e Anastasio De Filis) nel 1609 l'Accademia dei Lincei , fondata a Roma nel 1603.
     Nella zona centrale di Acquasparta sorge il grandioso Palazzo Cesi, di Giovanni Domenico Bianchi (XVI sec.), con cortile a loggiato e sale con splendidi soffitti in legno intagliato; nella loggia a fianco del palazzo sono conservate iscrizioni romane, cippi di Carsulae e la cassa di un sarcofago. Galileo vi fu ospite di Federico Cesi.
     La chiesa di S. Cecilia custodisce la tomba di Federico Cesi in un'elegante cappella del 1581. La chiesa di S. Francesco (del 1290) conserva l'antico altare su colonnine e un bel crocifisso ligneo del XV sec.
     Nei pressi della cittadina sgorga l'"Acqua dell'Amerino" utilizzata come acqua minerale indicata nelle malattie del ricambio, nei calcoli renali, nell'artrite e nella gotta.

CARSULAE Città romana sorta  lungo la Via Flaminia , dopo l'apertura della via consolare (III sec. a.C.),  nel tratto tra Narnia (Narni) e Vicus ad Martis (S. Maria in Pantano ).  La migrazione delle popolazioni di montagna e delle vicine pianure verso Carsulae avvenne probabilmente per le possibilità commerciali che l'attraversamento della Via Flaminia generava (comunque. non si può escludere che la città romana si sia sviluppata a partire da un ben più antico insediamento umbro) in un luogo naturalmente ricco di acque dove erano possibili attività diverse ed egualmente remunerative quali l'estrazione e la lavorazione della pietra, la coltivazione della vite, lo sfruttamento minerario. La funzione emporica e religiosa assolta dal complesso dei santuari posti sulla vicina Montagna di Cesi (facente parte della catena dei Monti Martani) venne espletata da Carsulae, ruotante anch'essa intorno ad un importante sede di culto: i "templi gemini", al di sotto dei quali sono state rinvenute le tracce più antiche dell'insediamento carsulano (probabilmente appartenenti ad un antico santuario pre-romano); la funzione emporica del santuario trova conferma nella presenza di tabernae (che si aprono lungo l'asse viario principale), alloggiate nelle sostruzioni dei templi. Nel corso del I sec. a.C. la città diventava Municipio iscritto alla tribù Clustumina. Si ingrandì e acquistò importanza in età imperiale (a partire dal 27 a.C., perfettamente inserita nel quadro dell'ideologia propagandistica di Augusto, si diffonde infatti una nuova cultura urbanistica che si traduce in una politica sistematica di interventi monumentali), come indicano i monumenti rimessi in luce: la loro disposizione rivela un piano urbanistico organico e unitario. Lo sviluppo del centro fu probabilmente dovuto non solo alla sua favorevole posizione sulla Flaminia (anche Carsulae, beneficiando dal riassetto del sistema viario, insieme ad altri centri come Fano e Spello, acquisì una vera e propria dignitas urbana solo in epoca alto imperiale con un notevole sviluppo edilizio a partire dal I sec. a.C.), ma anche alla bellezza del luogo, ricordato da Tacito e da Plinio il Giovane. La nuova veste urbanistica assunta da Carsulae, viene sottolineata dall'introduzione di modelli architettonici provenienti da Roma, spesso accompagnata da un notevole utilizzo del marmo; questo fenomeno va letto come uno dei segni di una nuova etica politica: l'edilizia si trasforma nell'espressione della publica magnificentia, affermazione della prevalenza degli interessi della collettività sul lusso privato.
     Con la riforma diocleziana della divisione dell'Italia, Carsulae entrò a far parte della Tuscia et Umbria. L'abbandono del tratto originario della Via Flaminia, a favore di quello orientale che toccava Interamna (Terni) e Spoletium, contribuì in modo determinante alla decadenza della città.  Inoltre, essendo priva di mura, fu esposta alle conseguenze delle invasioni barbariche cui si aggiunsero forse gli effetti di dissesti di origine carsica o di un disastroso terremoto.
     Si può iniziare la visita dalla chiesa di S. Damiano, sorta probabilmente nell'XI sec. Era un monastero di suore benedettine che erano nel numero di cento al tempo di Papa Onorio III che le fece trasferire. Nel 1230 Gregorio IX l'affidò ai Cistercensi dell'abbazia di S.Pastore, nei pressi di Greccio (Rieti). S. Damiano occupa l'interno di un edificio di età romana (probabilmente il macellum) databile fra la fine del I ed il II sec. a.C., di cui sono visibili i resti  nella parte destra e nella facciata a fianco del portico, e poi modificata nei secoli successivi. Il paramento è a blocchetti con ricorsi di mattoni ed archi in bipedali al di sotto dei quali dovevano schiudersi aperture tamponate già in antico. La chiesa ha pianta rettangolare con navata centrale e navata laterale molto stretta: la seconda fila di colonne che individuava la navatella di destra risulta asportata. La fronte è preceduta da un pronao, un portichetto (costruito con materiali di spoglio) i cui elementi portanti sono due colonne tozze monolitiche con basi e capitelli rettangolari. L'architrave che poggia sulle due colonne e sui due pilastri d'angolo è decorato da una cornice a dentelli e da un rocchio di colonna scanalata. Nella lunetta sovrastante la porta d'ingresso è scolpita una raffigurazione altomedioevale a rilievo costituita da una croce equilatera con ai lati due figure con aureola recanti in mano due ampolle (che sembrano pendere dai bracci della croce) sulle quali sono rappresentati simbolicamente due astri (il sole e la luna?); sotto le ampolle ci sono due mezzelune rivolte una in basso ed una in alto (simbologia che ricorda quella della "morte alterna dei Dioscuri" ). Le due figure sono interpretabili come i SS. Cosma e  Damiano (i Santi Medici, Cosma e Damiano, venivano raffigurati nel medioevo con in mano la cassetta degli attrezzi chirurgici oppure vasi per liquidi). Ai margini della lastra sono graffiti, a riempire gli spazi vuoti, dei simboli animali: due pesci posti l'uno di fronte all'altro, un quadrupede con grosse mammelle inginocchiato, una coppia d'uccelli che sembrano bere da un vaso.
     Proseguendo sulla strada che passa dinanzi alla chiesa (è il tratto urbano della Via Flaminia, che attraversa Carsulae in direzione S - N, costituendo il cardo maximus), si giunge al Foro: a destra sono i resti della basilica forense,  a tre navate e absidata; a sinistra,  il piazzale irregolare, contornato da edifici pubblici e di carattere sacro. Lo sviluppo monumentale del Foro è stato influenzato dalla ristrettezza dell'area urbana  e dall'attraversamento della Via Flaminia che ha condizionato la disposizione degli edifici. La piazza forense è trapezoidale e vi si doveva accedere mediante due tetrapili disposti agli angoli del lato corto prospiciente la Flaminia. Durante il periodo imperiale, nelle città romane si manifestò un marcato processo di monumentalizzazione delle aree forensi; soprattutto con l'edificazione di grandi basiliche. A Carsulae la basilica, apparentemente tagliata fuori dal tracciato urbano della Via Flaminia (caratteristica comune ad altri centri attraversati da importanti vie di comunicazione) era probabilmente in asse con un altro edificio sul lato ovest della piazza. La basilica, sede e simbolo dell'autonomia municipale, si trasformò nel simbolo dell'onnipotenza del potere imperiale, assumendo spesso la funzione di tribunale giudiziario insieme a quella di santuario del culto dell'imperatore.
     Il lato nord del Foro è quasi interamente occupato dai resti dei cosiddetti "edifici pubblici", una fila di costruzioni rettangolari con evidenti tracce di ricca decorazione marmorea; nel primo ambiente ad ovest è ancora ben visibile la pavimentazione in marmo bianco e calcare rosa, nel terzo e nel quarto sono conservati alcune basi  (di tipo ionico doppio) di lesene, probabilmente del I sec. d.C.
     Nel lato meridionale, sono i resti  di due tempietti gemini  perfettamente uguali; a fianco della scala di accesso al tempio e tra questo e la Via Flaminia, un piccolo arco quadrifronte, di cui è stato rialzato solo  un lato (di un altro uguale, allineato con il lato settentrionale del piazzale, restano solo le basi dei pilastri). I due tempietti, prostili, tetrastili e in antis affiancati, i con podi rivestiti di lastre di pietra, sono collocati su una grande piattaforma soprelevata in opera cementizia pavimentata in opus spicatum, e sono collocati al centro della metà anteriore della platea. Sono preceduti da una scalinata (in parte ricostruita) che raggiunge la piattaforma per poi continuare in due bracci distinti, inseriti all'interno di speroni sporgenti ai lati del tempio. Molto probabilmente i templi, con i loro due podi e due celle separate, di dimensioni e forma perfettamente sovrapponibili, erano dedicati ai Dioscuri e rappresentavano un importante sede di culto. Notevoli sono le analogie con il culto doppio riconosciuto per il vicinissimo santuario umbro di Torre Maggiore; probabilmente lo sviluppo di Carsulae determinò non solo il trasferimento nella città delle popolazioni umbre, ma anche delle loro divinità. Poi, nella fase di "romanizzazione" i culti locali furono assimilati alle divinità del pantheon romano. I Dioscuri erano divinità gemelle e dalla natura terapeutica (spesso il loro culto era associato alla presenza di sorgenti termali, peraltro abbondanti nel territorio di Carsulae, basti pensare alle acque minerali di Sangemini...  le acque dei"santi gemini"! ), e considerati anche come "salvatori della patria" oltre che "salvatori della salute umana". Il processo di "romanizzazione" dei culti locali giunse infine ad identificare il culto dei Dioscuri a quello dinastico di una  delle coppie di successori designati al trono, i principes iuventutis (attestato a Carsulae dal ritrovamento di iscrizioni e frammenti di statue) che venivano sempre associati a Castore e Polluce, infatti in età repubblicana i Dioscuri, quali "salvatori della patria", erano identificati con i principes. La chiesetta di S. Damiano (era dedicata originariamente ai SS. Cosma e Damiano, i santi medici), -molto vicina ai tempietti gemini!- costituirebbe una continuità del culto dei Dioscuri in chiave cristiana. Anche a Roma la chiesa di S. Damiano è stata edificata sul lato opposto della Flaminia rispetto alla posizione dei vicini templi gemini dei Dioscuri. Delle altre divinità venerate nel territorio di Carsulae sono giunte fino al giorno d'oggi scarse attestazioni epigrafiche riguardanti il culto della dea Nemesi,  del dio Silvano, quest'ultimo retaggio dei precedenti culti umbri e, in epoca più tarda del dio Mitra (il culto di Mitra è stato introdotto in Italia a partire dal II sec. d.C.); infine divenne un vero e proprio oggetto di culto la famiglia imperiale.
     Per una scaletta dietro i tempietti si può ridiscendere sulla strada, che conserva gran parte del lastricato antico e che si percorre fino al cosiddetto Arco di S. Damiano, monumentale arco-porta a tre fornici, di cui rimane solo il centrale, eretto ove terminava l'abitato. E' composto di due pilastri in opera quadrata in calcare con nucleo interno in cementizio; perfettamente conservati sono i cunei della volta a pieno centro, L'arco è inquadrato da due lesene lisce. Questa porta monumentale, ingresso nord della città, e assimilabile più ad un arco onorario che non ad una porta urbica; insieme ai due tetrapili del foro, esprime efficacemente il concetto della porta come "monumento del passaggio".                       
     Subito fuori ha inizio, a fianco della Flaminia, in ripida discesa, la zona dei sepolcri monumentali (evidentemente l'Arco di S. Damiano rappresentava simbolicamente il "monumento del passaggio" nel mondo dell'aldilà) di prima età imperiale, collocata nel settore nord della città. Ne sono stati parzialmente restaurati due: il primo a corpo circolare, coperto a tumulo poggiato su basamento quadrato, e un altro del tipo a sviluppo verticale con base quadrata e sommità conica aperta verso ovest (simbolicamente, verso il sole che tramonta?). Notare il fregio in alto, sotto il coronamento tronco-conico con metope e triglifi.
     Tornando indietro attraverso il prato e poi per la strada moderna (notare durante il percorso, a destra, una piccola strada antica scivolata per il franamento del terreno), girando a sinistra all'altezza dell'abside della basilica, si va agli edifici per gli spettacoli: l'anfiteatro e il teatro, databili alla metà del I sec. d. C.  Nonostante una lieve torsione dell'orientamento, forse un aggiustamento in fase esecutiva, anfiteatro e teatro rispondono ad un unico (ma forse non contemporaneo) progetto di abbellimento urbanistico. L'anfiteatro,  è circondato da un ambulacro con pilastri a grandi blocchi  bugnati costruito in una dolina e misura 86 X 62 m.; subì rifacimenti e restauri, segno che l'utilizzo della dolina allo scopo di evitare un alzato troppo ingombrante al centro dell'area urbana (e anche per risparmiare nei materiali costruttivi) non la salvaguardava dal pericolo di crolli e di cedimenti statici. I muri esterni presentano un paramento a blocchetti di calcare con ricorsi di mattoni, l'interno una muratura in incertum. Del teatro (spazio ricreativo, nonché luogo per le riunioni cittadine, esprimente la fedeltà al potere imperiale, ponendosi in stretto rapporto con il centro religioso e politico della città ) rimangono l'orchestra con i primi due gradoni, le sostruzioni della cavea e le fondazioni della scena: i blocchi sistemati ora nello spazio retrostante appartenevano alla decorazione del muro della scenae frons. La cavea  era orientata ad ovest (non a nord, come si riscontra di solito) probabilmente per esigenze d'ordine progettuale (sfruttamento dello spazio, intenzioni scenografiche ecc.). L'ambulacro esterno, attraverso cui si accedeva alla cavea mediana, era delimitato dal muro esterno della cavea stessa e da una serie di pilastrature a rustico bugnato. Al centro, sporgente rispetto alla linea perimetrale del monumento, ma a questo addossato, era un avancorpo parallelepipedo che mediante rampe immetteva sulla summa cavea. L'orchestra era pavimentata; la scena era in assi di legno gettate tra pulpito e pilastrini arretrati, in modo da creare lo spazio necessario alla manovra ed alla creazione di una cassa di risonanza per la restituzione della voce (l'iposcenio). La muratura della cavea è a reticolato con pietre sporgenti negli spigoli e laterizi negli archi della I metà del I sec. a.C.
     A fianco dell'anfiteatro, sulla sommità del terreno sono i tempietti gemini e oltre la casetta del custode, si conservano i resti di tre cisterne. Le cisterne erano numerose e c'erano importanti opere di canalizzazione (alcune ancora evidenti lungo le principali strade e nella zona tra teatro e anfiteatro) dell'acqua che sgorgava ai piedi dei Monti Martani. Probabilmente l'acqua era usata per il normale uso domestico e per scopi di culto. Notevoli quantità d'acqua erano impiegate dalle terme, collocate ad ovest della Flaminia, appena a valle dei tempietti gemini.

CESI E LE "TERRE ARNOLFE"  Secondo Monsignor Felice Contelori (Memorie historiche della terra di Cesi, 1675) "... è opinione commune, de gl'habitanti, che doppo la ruina della città di Carsoli...fosse dato principio all'edificazione di Cesi...". Sostiene inoltre il Contelori che il nome del paese derivi dal latino "caedere" (tagliare a pezzi, massacrare),perchè i cesani credono che in quel luogo gli antichi romani fecero un massacro. La storia di Cesi parte dunque dall'alto medioevo, quando parte degli abitanti di Carsulae fondarono un primo nucleo abitato ai piedi del Monte Torremaggiore. Secondo E. Milj (Carsoli rediviva ovvero Storiche ricerche intorno all'antichissima città di Carsoli nell'Umbria, 1800) Cesi e Carsulae vennero posti sotto un dignitario longobardo e successivamente, nel 962, furono infeudati ad un certo Arnolfo dall'Imperatore Ottone I di Sassonia insieme a tutto il territorio del gastaldato di Sangemini. Il primo documento nel quale si fa menzione del raggruppamento di tali terre dette "Arnolfe", risale al 1042: con esso l'Imperatore Enrico II trasferisce alla Chiesa il territorio compreso tra Spoleto, Terni e Narni. In realtà le Terre Arnolfe, pur diventate patrimonio della Chiesa, gravitarono nell'orbita del Ducato di Spoleto fino agli inizi del XIII secolo, quando  Innocenzo III costrinse il duca di Spoleto a restituirle alla Chiesa. Risiedendovi  la massima autorità nominata dalla Curia di Roma, di fatto Cesi divenne la capitale delle Terre Arnolfe. Le Terre Arnolfe vennero occupate brevemente dall'Imperatore Federico II di Svevia che, in lotta contro il papato, le sottomise nel 1240 insieme a molte altre terre umbre. Tornate sotto la Chiesa vennero concesse a Spoleto, per essere poi sottoposte al potere del Castellano della Rocca di Cesi.
     Cesi (m.430 s.l.m.) è circondato da boschi e oliveti e conserva ancora un aspetto medioevale. Di notevole interesse è la chiesa romanica di S. Michele Arcangelo dell'XI secolo, rimaneggiata nel '200.

 

 

Note:

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  4. Il nome si può far risalire alla parola carsa (molto diffusa in area mediterranea, indicante luoghi caratterizzati da fenomeni carsici) o al celtico car-suli (pietre maestose, pietre attraenti).

  5. La Via Flaminia Vetus (220 a.C.) da Roma, attraversato il Ponte Milvio, raggiungeva Aquileia. La creazione in Umbria della strada consolare fece seguito alla conquista romana del territorio esteso da Roma a Fano.  Entrava in Umbria da Otricoli (Ocriculum), attraversava Narni (Narnia) e poi, passando per Sangemini (Casventum ?) attraversava Carsuale (dove fungeva da cardo maximus) per dirigersi successivamente verso Acquasparta, Massa Martana e, scavalcando i Monti Martani, Bevagna (Mevania) e Forum Flaminii (nei pressi dell'attuale Foligno). La costruzione della Flaminia implicò lo spostamento dei commerci su assi preferenziali, lungo i quali si muovevano anche le truppe dell'esercito romano.

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  8. Una sopravvivenza del culto degli dei gemini, ormai cristianizzato, è ravvisabile nel nome del paese di San Gemini, dove si trasferirono, nel medioevo, gli abitanti di Carsulae.

  9. Il culto dei Dioscuri ha radici micenee e trova paralleli nelle culture del medio oriente e dell'India (anche gli dei gemini della mitologia indiana erano considerate divinità guaritrici ed avevano un certo rapporto con l'acqua). Gli dei gemelli venivano raffigurati come grandi atleti: Castore (mortale) un cavaliere e Polluce (immortale) un pugile. Quando Castore morì, il fratello supplicò il padre Zeus di condividere l'immortalità con il fratello. Zeus acconsentì e fece trascorrere loro alternativamente un giorno nell'Ade e un altro nell'Olimpo (la "morte alterna"). I Dioscuri, essendo considerati come eroi e salvatori, potevano soccorrere gli uomini nei pericoli (tutelavano i naviganti, aiutavano in battaglia, proteggevano nelle gare agonistiche), nelle malattie e fornendo auspici,.proteggevano inoltre le partorienti. Il loro simbolo era rappresentato dalla doppia stella (da cui ha preso il nome la costellazione dei Gemini, come nella "morte alterna" dei Dioscuri,  i due astri si alternano: mentre Pollux sorge, Castor cala), quasi sempre presenti sulla testa nelle loro raffigurazioni (soprattutto nelle monete). Essendo i divini fratelli gemini molto popolari e venerati per la loro benevolenza, molti personaggi che formavano coppie (p.es. Druso e Germanico), venivano assimilati al loro culto.

  10. "...Si tratta di una struttura costituita essenzialmente da una base quadrata (poco importa che tale parte inferiore abbia una forma cubica o più o meno allungata) sormontata da una cupola di forma più o meno rigorosamente emisferica. Fra gli esempi più caratteristici si può citare, con Coomaraswamy, lo stupa buddistico, e anche aggiungeremo, la qubbah islamica, la cui forma centrale è esattamente identica" -nota n°1: "La destinazione dei due edifici è del resto anch'essa similare giacché lo stupa, almeno in origine, era fatto per contenere delle reliquie, e la qubbah è eretta sulla tomba di un wall." "...E' opportuno osservare anche che un arco, con i suoi pilastri rettilinei e il sesto che poggia su questi, non è altro in realtà che lo spaccato verticale di tale struttura; e, in quest'arco, la 'chiave di volta' che occupa il vertice corrisponde evidentemente al punto più elevato della cupola..." "...E' facile rendersi conto, anzitutto che le due parti della struttura appena descritta raffigurano la terra e il cielo, cui in effetti corrispondono rispettivamente la forma quadrata e la forma circolare..." - Renè Guènon, Simboli della Scienza sacra -  Titolo originale: Symboles fondamentaux de la Science sacrèe - Adelphi Edizioni - 1978, pp.221 - 222.

  11. Questo legame è particolarmente evidente a Carsulae, con il teatro e l'anfiteatro molto vicini all'area forense; le direttrici comunque sono diverse, segno di una grande autonomia nella dislocazione urbana di questi edifici.

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